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La vittoria di Trump, le emozioni e le elezioni.

Una riflessione necessaria e una modesta proposta

di Giuseppe Musilli

Trump ha vinto! Anzi molti dicono che ha stravinto. Ha ottenuto una forte maggioranza dei grandi elettori che lo nomineranno Presidente e nello stesso tempo ha vinto nei voti popolari ottenendo 5 milioni in più della sua avversaria Kamala Harris. E inoltre ha conquistato la maggioranza sia al Senato che al Congresso. Una vittoria straripante con un risultato molto diverso da quello del 2016 quando Trump vinse sulla Clinton, ma perse nel voto popolare, oppure quando corse nel 2020 e fu sconfitto da Biden sia nel voto degli Stati che nel voto popolare.
Come spiegare questo risultato? Certo i democratici hanno fatto molti errori. Hanno scaricato Biden troppo in ritardo e hanno scelto un competitor come Kamala Harris un po’ inconsistente. Certo la situazione dell’inflazione che ha ridotto il reddito della classe media e della classe popolare è stato un grande punto di forza della propaganda di Trump. Ma chi si aspettava che Trump avrebbe preso il voto dei latinos, il voto dei neri e il voto delle donne in presenza di una polemica sulla possibilità delle donne di essere padrone del proprio e di portare avanti la gravidanza oppure di abortire? Il tema dell’aborto, che avrebbe potuto favorire i democratici, non ha portato i risultati sperati, mentre i repubblicani hanno saputo catalizzare il sostegno degli elettori più conservatori su questo argomento.
Ma soprattutto la narrativa di “riportare l’America alla sua grandezza” ha risuonato in fasce della popolazione deluse dall’attuale leadership, deluse dall’andamento dell’economia e sensibili al tema dell’immigrazione.
Trump ha saputo lanciare agli elettori delusi i messaggi semplici e accattivanti che loro si aspettavano. I prezzi elevati al supermercato e alla pompa di benzina erano il loro problema e Trump ha saputo trovare la risposta che loro volevano. Inoltre la base di sostenitori di Trump, il movimento MAGA, ha giocato un ruolo cruciale. Questo zoccolo duro ha continuato a sostenere Trump nonostante i suoi incidenti giudiziari e le altre gaffe che lo caratterizzano.
La vittoria di Trump è da attribuirsi alla sua capacità di risuonare con gli elettori sui temi a loro cari come l’economia e la sicurezza; e questi temi e il modo in cui il candidato li ha affrontati hanno fatto la differenza.

Chi è Tump.
Trump è ritenuto una figura complessa e polarizzante, con una personalità che ha attirato l’attenzione di psicologi, politologi e media di tutto il mondo.
Trump è noto per la sua forte ambizione e desiderio di vincere. Questo tratto lo spinge a cercare sempre il successo e a competere in modo aggressivo, sia nel mondo degli affari che in politica. Ha una percezione molto alta di sé stesso, che si traduce in una grande fiducia nelle proprie capacità. Perciò non accetta le critiche o i feedback negativi. Inoltre appare determinato e deciso nelle sue azioni e presenta una personalità dalle decisioni rapide anche se a volte finisce per mostrare comportamenti impulsivi.
Ama essere al centro dell’attenzione e intrattenere le persone. Questo lo rende un abile comunicatore e un personaggio carismatico. Anche se tende ad essere diretto e non si preoccupa molto dei sentimenti altrui. Non segue facilmente le regole e preferisce fare le cose a modo suo. Questo lo rende innovativo e capace di pensare fuori dagli schemi, ma non gli evita i conflitti e il giudizio negativo della stampa e delle organizzazioni di intermediazione sociale.
Trump insomma mostra tratti di grandiosità, con una percezione esagerata della propria importanza. Sforna in continuazione idee non sempre coerenti, ma non prive di capacità innovativa. Tuttavia può avere difficoltà nell’implementazione pratica di queste idee e può risultare imprevedibile.
Trump presenta anche aspetti oscuri. La sua leadership è spesso caratterizzata da un approccio autoritario, con una forte enfasi sul controllo e sulla disciplina. Questo può essere efficace in alcune situazioni, ma può anche creare tensioni e resistenze. Inoltre il suo forte bisogno di essere ammirato e riconosciuto lo induce a comportamenti narcisistici e a una costante ricerca di approvazione.
Data questa personalità Trump si è posizionato come un outsider politico, portando avanti una visione populista e nazionalista che si concentra sul concetto di “America First”. Tra le sue idee più forti ci sono il protezionismo economico, una politica di immigrazione più rigida, la critica alle istituzioni globali e il sostegno alle industrie statunitensi. Questo programma politico si rivolge soprattutto a quegli americani che si sentono lasciati indietro dalla globalizzazione e dai cambiamenti sociali e culturali, come il trasferimento di posti di lavoro all’estero e l’immigrazione. Trump critica l’élite politica e mediatica, presentandosi come un difensore del “popolo” contro un sistema che dipinge come corrotto e disonesto.
Perciò preferisce la comunicazione semplificata e immediata, attraverso messaggi chiari e taglienti che evocano emozioni forti. Questo stile lo rende particolarmente abile nel gestire i media e nel mantenere alta l’attenzione su di sé. La sua retorica aggressiva ha polarizzato l’opinione pubblica, con sostenitori che lo vedono come un leader autentico e diretto e critici che lo considerano manipolatore e populista.
In conclusione Trump è il campione di una politica nuova, semplice, diretta, satura di emotività e per nulla riflessiva.
La sua storia ha a che fare con le emozioni. Con la natura delle emozioni e con la regolazione delle emozioni.
Ma come è potuto succedere che una personalità, certamente forte e ed emotivamente prorompente, ma piuttosto primitiva, abbia avuto tanto successo? Proviamo a spiegarlo partendo da lontano.

Le emozioni e gli altri
La regolazione delle emozioni umane in presenza di altri è un tema centrale nella psicologia sociale e delle neuroscienze affettive. Le nostre emozioni non sono statiche o isolate: si modellano e si riequilibrano continuamente attraverso il feedback, sia verbale che non verbale, delle persone intorno a noi.
Quando siamo vicini agli altri, sperimentiamo il fenomeno del “contagio emotivo”, dove le emozioni altrui influenzano le nostre e viceversa. Questo meccanismo è particolarmente evidente nei gruppi sociali o nei contesti di lavoro e di famiglia; se, ad esempio, una persona esprime gioia o preoccupazione, la risonanza emotiva tende a generare una risposta simile anche negli altri. I neuroni specchio nel nostro cervello giocano un ruolo chiave in questo processo, aiutandoci a “sentire” l’emozione degli altri, favorendo una sorta di mimetismo emozionale. Questo processo contribuisce a regolare le emozioni, spingendoci a trovare una sintonia affettiva con chi ci circonda.
Non solo! Il feedback che riceviamo dagli altri — espressioni facciali, tono di voce, posture — agisce come un filtro sociale che ci permette di calibrare la nostra risposta emotiva. Ad esempio, se comunichiamo un’emozione intensa, come rabbia o euforia, le reazioni degli altri (potrebbero apparire sorpresi, distaccati o empatici) ci aiutano a regolare e magari a ridimensionare l’intensità del nostro sentimento. Questo processo viene chiamato “coregolazione emotiva”, in cui entrambi i partecipanti contribuiscono a modulare il clima emotivo della situazione, facilitando una gestione più equilibrata delle emozioni e promuovendo un’interazione armoniosa.
La psicologia dell’attaccamento inoltre sottolinea l’importanza dei legami affettivi nella regolazione emotiva. I bambini piccoli imparano a regolare le loro emozioni tramite le risposte dei genitori o caregiver che offrono conforto e sicurezza. Anche negli adulti, questo meccanismo continua a funzionare, seppur in modo più complesso. Le relazioni, sia quelle significative che quelle attinenti al funzionamento e alla sopravvivenza del gruppo, fungono da regolatori emotivi naturali, che permettono di riaggiustare le nostre percezioni emotive e di riorientare le nostre reazioni.
Quando le nostre emozioni sono particolarmente intense, come l’indignazione, la rabbia o l’entusiasmo eccessivo, esprimere queste idee agli altri spesso porta a un confronto che può ridimensionare la nostra prospettiva. Ascoltare opinioni diverse o avere risposte moderate può portare a riflettere su quanto le nostre emozioni siano sproporzionate o eccessive. Questo processo, noto come confronto sociale, aiuta a riportare le emozioni entro una sfera di equilibrio e realismo, migliorando così la nostra capacità di giudizio e di decisione.
In sostanza, le interazioni sociali non solo modellano, ma ottimizzano la nostra risposta emotiva, aiutandoci a sviluppare una percezione equilibrata e a costruire legami che rafforzano il nostro benessere emotivo.
Anche le neuroscienze sociali hanno dimostrato che il cervello umano è cablato per l’interazione sociale. L’osservazione delle espressioni facciali, del linguaggio del corpo e delle vocalizzazioni degli altri attiva le stesse aree cerebrali coinvolte nell’esperienza diretta delle emozioni e questo meccanismo neurale aiuta le persone a comprendere e a regolare le proprie emozioni.
Inoltre le norme sociali fungono da guida per il comportamento accettabile e le espressioni emotive. Le reazioni degli altri ci aiutano a capire se stiamo violando queste norme e ci incoraggiano a modificare il nostro comportamento per conformarci alle aspettative sociali.
Tutto ciò ovviamente accade in presenza di personalità dotate di normale emotività. Nel caso invece di personalità emotivamente disregolate a causa di esperienze infantili negative o per vicende personali dolorose e stressanti si deve fare tutt’altro discorso. Un discorso specialistico che qui non serve e che non faremo.

I social media.
Tutto questo discorso serve per discutere di una realtà: nella società di oggi siamo più soli e quindi le nostre emozioni incontrano meno occasioni di essere regolate.
Il fatto è che i social media isolano le persone dagli altri; così isolate le persone sono portate a mettere al centro se stesse, le proprie idee e le proprie emozioni. Le idee e le emozioni che prevalgono sono dunque quelle più aspre e meno mitigate perché non sono state regolate attraverso un passaggio sociale, non si sono confrontate con gli altri, che con le loro reazioni le avrebbero influenzate ed equilibrate.
Il vivere in gruppo e il confrontarsi con gli altri, come abbiamo detto, è fondamentale per la regolazione emotiva.

Effetti dei social media
Oltre all’isolamento i social producono un altro effetto negativo in merito alle emozioni. I social promuovono la proliferazione di contenuti aspri e polarizzati. Le piattaforme spesso amplificano le opinioni estreme perché tendono a generare più interazioni (like, commenti, condivisioni). Questo può creare un ambiente in cui le idee moderate vengono meno considerate e le persone possono sentirsi incoraggiate a esprimere opinioni più estreme per attirare attenzione.
Molte ricerche sostengono che i social media non solo tendono a isolare le persone, ma contribuiscono anche alla diffusione di contenuti polarizzati e di opinioni radicali che vanno ad aumentare le già consistenti emozioni negative dovute alla solitudine e che al contrario potevano essere mitigate in un contesto sociale tradizionale.

Ecco un esempio celebre.
La vicenda dei Rohingya in Myanmar è un caso tragico in cui l’uso dei social media, in particolare di Facebook, ha contribuito all’escalation della violenza e alla persecuzione di questa minoranza musulmana. I Rohingya, un gruppo etnico residente principalmente nello stato di Rakhine, sono stati storicamente emarginati dal governo birmano, che nega loro la cittadinanza e li considera immigrati illegali. A partire dal 2017, la violenza contro i Rohingya ha assunto proporzioni drammatiche, con omicidi di massa di molte migliaia di persone, con stupri e con la distruzione di interi villaggi, spingendo oltre 700.000 persone a fuggire in Bangladesh.

Il ruolo di Facebook
Un’inchiesta interna di Facebook, resa pubblica nel 2018, ha rivelato che la piattaforma non aveva preso misure sufficienti per arginare la disinformazione e i messaggi di odio in Myanmar.
In Myanmar Facebook è una delle principali piattaforme di comunicazione e la disinformazione contro i Rohingya si è diffusa principalmente tramite questa rete.
Gli algoritmi di Facebook, progettati per promuovere i contenuti che generano più reazioni emotive, hanno avuto un ruolo significativo nell’alimentare l’odio contro i Rohingya. Utenti legati all’esercito e ai gruppi ultranazionalisti buddisti hanno riempito Facebook di contenuti anti-musulmani e di fake news, come l’accusa che i Rohingya fossero invasori e che stessero preparando un colpo di stato di matrice islamista.
Le informazioni false sui Rohingya, alimentate dai post che ricevevano più interazioni, venivano quindi sistematicamente amplificate, aumentando il clima di ostilità e contribuendo alla violenza. L’algoritmo, infatti, non distingue tra contenuti positivi o negativi, ma si limita a promuovere ciò che genera più reazioni, come le emozioni negative come la paura e la rabbia
Dopo le accuse di complicità nella persecuzione, Facebook ha riconosciuto la sua responsabilità e ha rimosso centinaia di account legati ai militari del Myanmar, iniziando ad implementare misure per ridurre la diffusione dei discorsi d’odio.
La Commissione delle Nazioni Unite di accertamento dei fatti ha dichiarato che “il ruolo dei social media è stato importante” nelle atrocità commesse contro i Rohingya. Gli algoritmi di Facebook hanno contribuito a creare un ambiente in cui l’odio e la violenza hanno prosperato fino a giungere ad una delle peggiori crisi umanitarie degli ultimi anni.
Questa vicenda mette in luce i pericoli degli algoritmi dei social media che privilegiano le reazioni emotive senza considerare le conseguenze reali. Dobbiamo concludere che la politica fatta sui social ha una base e delle conseguenze pericolose. Stimola reazioni emotive inaspettate, ma anche favorisce leader emotivamente dirompenti che usano linguaggi e argomenti molto emotivi e molto estremi.

Cosa c’era una volta.
Voglio brevemente ricordare come avveniva l’elaborazione di piani e progetti politici qualche decennio fa.
Un po’ di tempo fa c’erano le sezioni dei partiti. In queste sezioni c’era un segretario, una segreteria, un direttivo e poi l’assemblea dei soci. Quando nasceva un problema, per esempio c’era in città una strada coperta di buche che era diventata particolarmente pericolosa, la segreteria lo esaminava e faceva una proposta di attività politica per risolvere il problema. Tale proposta veniva poi esaminata dal direttivo che con le dovute modifiche la proponeva all’esame e all’approvazione dell’assemblea dei soci. La proposta che usciva dall’assemblea era una proposta che era priva di risvolti emotivi eccessivi e che era stata valutata attentamente in merito alla sua efficacia. Poteva trattarsi di una manifestazione, di una lettera aperta, di una raccolta di firme, di una richiesta di colloquio all’autorità competente o di una pacifica manifestazione in occasione di un consiglio comunale affinché la strada fosse riparata. La proposta approvata veniva poi messa in atto da tutti i soci e dai cittadini interessati. I soci e i cittadini, che partecipavano alle iniziative messe in atto, in caso di soluzione del problema si sentivano emotivamente protagonisti e nello stesso tempo appagati del risultato ottenuto.
Racconto queste vicende non per rimpiangere quei tempi, che non possono tornare, ma per illustrare tutti i passaggi attraverso cui si elaborava l’emozione negativa dovuta alla strada dissestata.
Chi a suo tempo, magari nella segreteria o nel direttivo o nell’assemblea avesse fatto una proposta particolarmente strana o dettata da risentimenti particolari, sarebbe stato accolto con la critica o con il silenzio e avrebbe poi adattato il suo sentire alle proposte più ragionevoli e anche più efficaci degli altri. E i risultati positivi eventualmente ottenuti con la messa in atto della proposta, rinforzavano positivamente le singole personalità e la coesione sociale.
Oggi i social hanno sostituito tutto questo percorso. Hanno sostituito un percorso che nello stesso tempo regolava le emozioni e consentiva di elaborare la proposta più efficace. I social hanno chiuso tutte le sezioni. E sono sicuro che non verranno facilmente riaperte. D’altra parte com’è possibile immaginarsi una realtà in cui i social non esistano più?

Le vere domande.
La questione è questa: un mondo fatto di social ha contribuito alla vittoria di Trump? Un mondo fatto di emozioni solitarie, emozioni prevalentemente negative come paura, rabbia, delusione, … ha contribuito a far vincere un leader emotivo, autoritario, semplificatore e coinvolgente come Trump? E soprattutto il mondo dei social così come l’abbiamo descritto annuncia l’avvento di leader politici come Trump e magari ancora più pericolosi di Lui? Se avete seguito il nostro ragionamento suppongo che qualche risposta ce l’abbiate.

Una modesta proposta.
Che fare?
Noi facciamo il Festival delle emozioni proprio per rispondere a queste domande. Lo facciamo per conoscere e regolare le emozioni. In modo che possiamo vivere meglio e superare il dolore a cui inevitabilmente andiamo incontro con il nostro vivere e nello stesso tempo contribuire a risolvere i problemi della comunità. Il dolore è inevitabile, ma la sofferenza può essere facoltativa.
Le emozioni incarnano tutto il nostro essere e non le possiamo relegare in un angolo se discutiamo di politica. Ma come limitare il potere dei social che ci potrebbe condurre ad un inutile ribellismo o peggio ad aderire alle politiche spericolare di qualche leader malintenzionato?
Faccio una modesta proposta per stare sul pezzo e spero che altri ne sappiano farne di migliori e più efficaci. I social non si possono abolire. Allora dobbiamo utilizzarli per inostri obiettivi.
Se l’obiettivo è quello di riparare la strada che è risultata piena di buche ed è diventata pericolosa io credo che il modo migliore sia quello di cominciare dai social. Qualcuno più sensibile di altri dovrebbe aprire un forum tematico, denunciare la situazione, raccogliere adesioni e proposte possibilmente senza sollecitare reazioni emotive eccessive e pericolose. L’obiettivo del forum dovrebbe essere quello di conoscere la situazione e di avanzare proposte. Nel momento in cui le proposte si sono accumulate allora bisogna organizzare una riunione in presenza per definirle e magari per discutere e scegliere quella ritenuta più efficace.
Per fare ciò non c’è bisogno della sezione, bastano i bar, i ristoranti o le piazze. (Ma le autorità comunali dovrebbero essere sensibili a fornire ai cittadini luoghi pubblici dove tenere riunioni e assemblee, come biblioteche, centri sociali, centri di accoglienza, centri per anziani, teatri, ecc… Per loro dovrebbe essere un punto di assoluta priorità, perché le discussioni evitano reazioni molto peggiori ai problemi che inevitabilmente esistono nell’amministrazione delle città).
In questa discussione in presenza le emozioni saranno regolate come avviene in tutte le interazioni sociali. Una ulteriore regolazione avverrà, come abbiamo detto, se la decisione presa viene portata avanti e ottiene i risultati che ci si aspettava. I risultati positivi elicitano emozioni positive che creano affiliazione e ottimismo.
Questo meccanismo eviterà che nascano leaders portati ad utilizzare le emozioni per conseguire i loro obiettivi. Qualsiasi leader usa le emozioni. In qualche modo questo processo è inevitabile. Quello che speriamo è che l’utilizzazione delle emozioni non diventi l’unico modo di fare politica.
E che quello che chiamiamo popolo non si chiuda in casa a cliccare e a odiare. I social sono una grande occasione della nostra storia recente, ma possono e debbono contribuire a migliorare i meccanismi di soluzione dei problemi e degli ingorghi che la vita produce, non a peggiorarli.
Noi umani siamo nati come membri di un gruppo; il gruppo ha determinato la necessità di interagire e di comunicare e quindi abbiamo cominciato a parlare. La parola è diventata pensiero e razionalità. Pensiero e razionalità non hanno scacciato le emozioni che tutti i mammiferi utilizzano per sopravvivere. Pensiero e razionalità hanno “vestito e regolato” le emozioni. Le emozioni sono sempre con noi. Le emozioni pongono in evidenza i problemi da risolvere per sopravvivere e per vivere; se il problema viene risolto e risolto insieme agli altri le emozioni si placano.
I social possono e debbono aggiungersi e migliorare questo percorso. Non dobbiamo permettere che diventino un ostacolo alla sua evoluzione.

Tutto l’amore, carezza per carezza, litigio per litigio!

Un incontro con il professor Gianni Ronzani

l’11 Maggio alle ore 18:00 presso la Fondazione Gregorio Antonelli.

(Entrata dal parcheggio del Liceo Leonardo da Vinci)

di Giuseppe Musilli

Il professor Gianni Ronzani

L’amore, si dice, è quella cosa che dà la maggior parte del lavoro agli psicologi, ai poliziotti e ai giudici. E non solo! È quella cosa che riempie spesso i nostri pensieri, i nostri sogni, le nostre chiacchere. Ma anche gli spazi dei giornali e dei telegiornali, gli spazi delle novelle e delle telenovele.

La moderna civiltà, che ha dato enorme spazio all’individuo, non può che avere come conseguenza che le persone si concentrino su sé stesse e sui loro rapporti emotivi come l’attaccamento e l’accudimento, cioè sulle loro storie d’amore.

Una volta erano molto più importanti il nostro ruolo sociale, il nostro rango e il nostro coinvolgimento nelle attività religiose. Ciò che contava era il matrimonio e non l’amore. Anzi spesso fra matrimonio e amore c’era pochissima relazione. L’amore esisteva ovviamente, ma era una cosa molto privata e in genere non era molto raccontato, se non dai poeti.

Basta ricordare Dante che ha incontrato Beatrice pochissime volte e per averla vista solo poche volte gli ha dedicato quel monumento che si chiama la Divina Commedia. Mentre di sua moglie Gemma Donati, che gli ha dato tre figli, non si parla da nessuna parte nella Divina Commedia. L’importante è che Lei fosse della famiglia dei Donati, una delle più nobili e più importanti di Firenze.

Dante racconta nella “Vita nova” il suo secondo e più intenso incontro con Beatrice. Lui ha 18 anni e la vede per strada vestita di bianco insieme ad altre due donne. Si sente subito intimorito, ma Lei gli sorride e lo saluta. Ed è subito amore! Non risulta che l’abbia più rivista, ma questo sorriso ha prodotto nientemeno che “La Divina Commedia”! Da notare che Beatrice nell’occasione di questo incontro era già sposata.

Ma non è tutto: tornato a casa si addormenta e in sogno vede la sua amata quasi nuda in braccio ad un essere mostruoso che ha in mano qualcosa che non riesce a vedere bene. Quel mostro, ci dice l’autore, è l’amore. E in mano ha proprio il cuore dello stesso Dante. E non finisce qui! Il mostro fa mangiare quel cuore a Beatrice!

Che cos’è dunque l’amore? È qualcosa dove si mangiano i cuori degli amati? È qualcosa che produce “La Divina Commedia”?

Parleremo d’amore dunque l’11 maggio con il Prof. Gianni Ronzani. Parlare d’amore è un’impresa troppo grande per un incontro relativamente breve. Io penso che ci torneremo ancora più in avanti nei nostri incontri del Festival. Ma uno o due punti forse possiamo affrontarli e magari chiarirli. Per esempio una definizione dell’amore che ci veda più o meno concordi, oppure, essendo le storie d’amore così complicate e a volte così pazzesche, dobbiamo pensare che non sia possibile alcuna definizione?

E ancora c’è differenza fra innamoramento e amore?  Sicuramente i primi passi dell’amore sono i più esplosivi e i più travolgenti. A volte l’ardore di quei giorni lo ricordiamo come irrefrenabile e fulminante. Ma le cose poi evolvono e a volte finiscono.

E poi, esiste uno stile affettivo? Cioè ognuno di noi ama a seconda delle circostanze o a seconda del partner, oppure ama in un suo modo specifico e sempre allo stesso modo? E, se esiste uno stile affettivo, da che cosa è determinato? E si può migliorare?

Come potete capire questo aspetto è piuttosto interessante. Se possediamo uno stile affettivo e non lo conosciamo beh! stiamo parecchio indietro per mettere le pezze ai nostri problemi o per appianare i nostri litigi.

Io credo che esista uno stile affettivo. Motivo per cui le nostre storie si svolgono e finiscono più o meno tutte allo stesso modo. Sempre che finiscano. Perché infatti alcune non finiscono.

Se così è, per mettere riparo eventualmente alle nostre storie, forse non dobbiamo analizzare le vicende della vita o le colpe del nostro partner, ma dobbiamo diventare consapevoli di come noi siamo capaci di amare.

E un’altra questione sembra importante: le storie d’amore hanno uno sviluppo, una maturazione. Allora quali sono le tappe di questo sviluppo? Ed eventualmente come possiamo accompagnare questo sviluppo ad una conclusione positiva e appagante?

E quando l’amore si incastra, c’è una possibilità per superare gli ostacoli?

Questa parte, come si capisce, appare ancora più interessante delle altre. Perché tutte le storie d’amore ad un certo ponto rallentano e sembrano fermarsi. La conclusione è inevitabile? È possibile correggere qualcosa che non va, per riprendere la strada?

E per riprendere la strada, evitando i giudici e i poliziotti, ce la possiamo fare da soli oppure è necessario qualche intervento più serio?

E quale funzione hanno i litigi nello sviluppo della nostra storia d’amore? Possono i litigi non essere negativi? Possono svolgere una funzione di crescita piuttosto che di agonia?

Caro Prof. Ronzani la strada è lunga e impervia! Abbiamo fiducia che un poco alla volta si possa percorrere.

Vedi l’intervista preparatoria del prof. Ronzani cliccando qui.